Integrazioni

E’ esploso a livello nazionale il «caso Villafranca». E’ approdato infatti in Parlamento il rifiuto della dirigente scolastica di far partecipare gli studenti dell’istituto comprensivo alla celebrazione della messa per la ricorrenza del 4 Novembre, organizzata dal Comune e dall’Associazione combattenti e reduci, «per non recare offesa ai ragazzi stranieri di altra religione» e di saltare a piè pari anche l’alzabandiera con annessa esecuzione dell’inno nazionale.

Fonte: Il Mattino di Padova

Borghezio non avrebbe saputo inventare una maniera migliore per rendere un pessimo servizio all’integrazione.

Squola 2

se continuano a farmi sentire gli interventi dei partecipanti alle manifestazioni anti Gelmini … finisce che inizio ad apprezzare la “Riforma Tremonti”.

Miniromanzi

Riporto un’iniziativa che Antonio D’Orrico ha lanciato dalle pagine della sezione “Libri” del Magazine (CdS): il Festival del romanzo in poche righe.

Al momento sono stati segnalati questi:

Andrea Vitali (Terra):

– La terra per il giardino di casa arrivò con un primo camion. Il bambino ci andò a giocare. Ci fece un buco grande. Pensò ad una caverna. Ci entrò. Il secondo camion arrivò di lì a poco.

Thomas Bailey Aldrich (Sola con la sua anima):

– Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c’è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.

Truman Capote:

– Cosa ti fa più paura? Rospi veri in giardini immaginari.

Ernest Hemigway (ambientato durante la crisi del ’29, attualissimo!):

– Baby shoes never worn for sale.

Squola

Non so se la “riforma Gelmini” sia una risposta valida ad un problema, esistente e reale,  contro cui tutti i ministri succedutisi negli ultimi trent’anni sono andati a scornarsi; quel di cui son certo è che se si parla di scuola, si parla di scuola; se si parla di “livelli occupazionali” si parla di un’altra cosa e mischiando (e confondendo) le due cose si fa male sia alla scuola sia ai livelli occupazionali.

Valutazioni

anche l’occhio vuole la sua parte, ogni scarrafone è bello a mamma sua, c’è stata la moria delle vacche … ogni scusa è buona per dare la propria valutazione. A proposito della manifestazione del PD al Circo Massimo però si è andati ben oltre il comune senso del pudore … da un lato gli organizzatori hanno calcolato il numero dei partecipanti con lo stesso metodo che usano le banche per calcolare la rata di un mutuo a tasso variabile; dall’altra la Questura ha effettuato lo stesso calcolo con il metodo che usa una persona sovrappeso per stimare la taglia dei vestiti.

non l’avessi mai scritto

nemmeno faccio in tempo a postare sul (probabile) futuro Presidente degli USA … che immediatamente un sondaggio mi smentisce clamorosamente (da un +12% di vantaggio ad un più preoccupante +5%).

Non vorrei essere io quello che porta sfiga ….

Sodoma e camorra

Con ritardo esprimo la mia solidarietà a Roberto Saviano che aveva paventato l’idea di andar via dall’Italia. Solidarietà e sostegno a Saviano, ma NON mi unisco al coro dei “rimani con noi”, considerando la (pessima) qualità della vita che è costretto a vivere, non mi sento di chiedergli ulteriori sacrifici; il suo lo ha fatto e gli sono profondamente grato, ora tocca a noi tutti “esporci”, tocca a noi fare la nostra parte, tocca a noi dire no al malaffare, alla prevaricazione, al crimine. Troppo semplice applaudire chi si espone (con gravissimi rischi) e per il resto abbassar la testa e volgere lo sguardo altrove.

Elezioni

Tutti i sondaggi danno Barak Obama largamente vincente (fossi un cittadino USA con ogni probabilità voterei per lui), fatte salve improbabili sorprese da un macchinoso meccanismo di elezione, saluto con favore il primo Presidente di colore degli USA, saluto con favore il ritorno dei Democratici alla guida del Paese (otto anni al governo … per un partito bastano e avanzano).
Ma non posso fare a meno di ricordare che il più famoso Presidente liberal degli ultimi anni è quello che ha “dato inizio” al Vietnam, quello che ci ha portato più vicino di tutti alla terza guerra mondiale (i missili a Cuba). Speriamo bene.

Se questa la chiamate giustizia

Calogero Mannino, dopo 14 anni di processi (e 23 mesi di carcerazione preventiva) il Senatore UDC ed ex notabile DC è stato assolto dall’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa”.
Oltre all’obbrobrio giuridico che è il reato contestato (o uno è mafioso o è altro, mi suona tanto come il “non poteva non sapere”), si ripropone il tema di una giustizia lenta ed inefficiente che va senz’altro riformata. Delle due l’una: o il Senatore Mannino (politico che NON stimo) è innocente, ed allora è un martire; o i magistrati che lo hanno accusato sono degli incompetenti che si fanno mettere sotto da scaltri mafiosi. Dilettanti allo sbaraglio.
Per buona misura nelle stesse ore viene emessa la sentenza ad un processo contro un uomo che (ubriaco, al volante, ha ucciso tre ragazzi) è stato condannato a tre anni di reclusione (con possibilità di affidamento ai servizi sociali). Oltre al danno la beffa!

Racconti

qui ho trovato questo racconto breve (brevissimo), mi è piaciuto e ve lo propongo, con i complimenti all’autrice (o all’autore?)

Pulsatilla

Le rose che non colsi

Il primo giorno di quarta ginnasio aveva una t-shirt con su scritto Ci sono mille modi per dire ti amo ma tu – stronza – ne avessi trovato uno. Volli farmelo subito amico.

Nel giro di un mese eravamo diventati simbiotici: un continuo lancio di aeroplanini carichi di parole durante le lezioni di latino e greco – io seduta sul suo banco al cambio dell’ora – le canzoni dei Beatles – io cantavo, lui mi accompagnava con la chitarra – sui gradini, sui muretti, sulle travi della palestra. Il mio diario, perennemente in ostaggio nella sua cartella, mi tornava indietro infarcito di lettere volanti. E la recita di fine anno: vedere due cespugli di pelo biondo sotto le sue ascelle, sentire qualcosa di vagamente simile al sesso, sebbene fossimo entrambi ridicoli nelle rispettive vesti di re greco e voce di Medea.

Nel 1996 Ron vinse il Sanremo: la professoressa di italiano ci costrinse a una performance davanti a tutta la scuola il giorno dell’open day, io che intrecciavo le mani dietro la schiena, lui che non staccava gli occhi dalla chitarra, rossi in faccia e alti uguale, cantammo Vorrei incontrarti tra cent’anni.

L’anno dopo ci fu il boom dell’hip hop, tutto un fiorire di cappucci e bombolette. Ci improvvisammo writers; ci incontravamo di notte sulla notturna per andare a imbrattare i muri del centro, facevamo colazione all’alba e approdavamo a scuola mezzi rincoglioniti. Non sapevamo disegnare, o almeno non tanto bene quanto credevamo, ma c’era la voglia di trasformare quei foglietti volanti in qualcosa di più definitivo. Sul palazzo dell’Inam forse sopravvive il nostro HELP, obliquo e cascante. Non vuol dire un cazzo, ma per l’epoca era qualcosa.

Poi io mi misi con uno studente di matematica di sette anni più grande. Lui rosicava in silenzio. Poi lui si mise con questa ricciolona biondissima (visibilmente troppo bella per lui, non gli davo più di due settimane. Invece ressero, mese dopo mese, e io feci in tempo a tornare single altre venti volte). Impossibile riacchiapparlo: al più lo andavo a trovare alla sala biliardo che aveva preso a bazzicare, dove i lunghi silenzi erano scanditi dal rumore delle palle in buca, con un non-detto alla “le rose che non colsi”. A causa della ricciolona quell’anno fu bocciato, quindi da settembre solo brevi incroci nei corridoi. Ci passavamo ancora qualche disco nel cambio dell’ora, con diffidenza però: io non avevo più le trecce e ascoltavo i Kula Shaker, lui si era messo a fare body building ed era passato a Sergio Caputo. Io andavo alle riunioni dei Giovani Comunisti e portavo lunghe gonne da gitana, lui era diventato un asso di pool, carambola e biliardo, e girava con un giubbotto da teppistello di periferia. Quando la ricciolona usciva con le sue amiche ci capitava di passare la serata insieme, con l’intento, mai dichiarato, di risintonizzarci, di trovare nuovi punti in comune. Ci si incontrava davanti all’università e si passeggiava per il centro, lui odorante di troppo Paco Rabanne, io instabile sui miei primi tacchi. Queste serate si concludevano con due bacetti sulla guancia, consumati in fretta e con imbarazzo. E poi non ci si rivedeva per altri mesi. Tra un’uscita e l’altra, solo qualche conversazione convenzionale, con la ricciolona incatenata sottobraccio, che guardava altrove.

A diciassette anni, lei lo lasciò; troppo tardi perché la cosa potesse riscuotere il mio interesse. A me, anzi, toccò l’ingrato compito di portarlo fuori la sera e di convenire con lui, alternatamente, che lei era una gran puttana, e che lei era una santa donna, e che in entrambi i casi sarebbe tornata da lui e sarebbero convolati a giuste nozze.

Nel giro di qualche tempo la ricciolona fu bell’e che dimenticata, e lui cominciò a scoparsi con sistematicità e costanza tutte le ragazze della scuola, tranne me. Alle altre toccavano i genitali, a me spettava il resto: le corse in bici a notte fonda, le telefonate dalle cabine per sapere come stavo, le confessioni di una mente perversa, snocciolate alle tre di notte sulle panchine di parco San Felice. Nessuna passione tra noi, i suoi peli biondi erano scontati, così come il mio canticchiare i Beatles in attesa che arrivassero le pizze. Più nessuna voglia di scambiarci lettere, niente da dirci che non potesse essere tranquillamente comunicato a voce. La libertà di uscire struccata e in pantacollant, le mie gambe poco atletiche pronte a sferrare calci fraterni, i due bacetti aboliti, e sostituiti da quel che capitava.

Ci perdemmo di nuovo quando il culto del corpo diventò la sua occupazione full-time, seconda solo alla copula indiscriminata di ragazze più giovani; mai gli perdonai di aver preso il brevetto da bagnino, e soprattutto di essere passato ai succhi di frutta e avermi abbandonato a sbronze tristi e solitarie. Intanto mi ero felicemente fidanzata con un ragazzo uguale a Billy Corgan (ma lui non sapeva chi fosse Billy Corgan: non c’era più musica in comune tra noi due), al fianco del quale cercavo di vivere una vita il più possibile somigliante a quella di Bukowski (con risultati a tratti soddisfacenti, soprattutto sul piano dell’etilismo). Poco da dirci, ormai – lo condannavo perché aveva mollato il conservatorio, lo condannavo perché rischiava un’altra bocciatura, lo condannavo perché si era fatto il telefonino. E condannandolo finii col perderlo, e perdendolo finii in terza classico, piena di anelli ai piedi e borse muccate che tracimavano dischi di posse e ombretti e libri.

Mentre preparavo gli esami di maturità, una mattina passai a prenderlo a scuola, senza alcuna ragione, o forse preda di una certa malinconia. Avevo portato asciugamani per me e per lui e lo convinsi senza fatica a saltare sul primo treno per il Gargano. Su uno scomodo scoglio lui mi disse che era stato innamorato di me. Mi finsi sorpresa. Lui si finse distaccato, come se stesse dando una notizia di cronaca. Poi niente.

Poi lo rivedo a Natale 2003, vado all’appuntamento con le stesse Dr Marteens di otto anni prima, solo che ho i capelli freschi di parrucchiere milanese. Lui è molto più alto di come me lo ricordavo, ha due spalle così, si è arruolato in marina e gira il volante con una sola mano. Tiro fuori dalla borsa un cd dei Cccp mentre lui estrae dal cassettino la colonna sonora di City Of Angels. Ci guardiamo in cagnesco, bonariamente. Lui è un bisonte biondo e scontroso mentre io sono un incrocio tra Maria Schneider e Hair. Il caffè al bar è rovinato dalle mie sigarette. Ad accomunarci, c’è che odiamo i writers.

Poi la sua telefonata di Pasqua, dopo un anno e mezzo di silenzio. È tenente dei carabinieri e comanda un battaglione in Calabria; è nel reparto anti-sommossa, è quello con gli scudi e i manganelli. Tu che fai? Io sono quella che sta dall’altro lato della barricata, gli rispondo. E dopo una lunga pausa carica di affetto, ci auguriamo buona Pasqua: prima di chiudere ho provato a dirgli quanto sia importante averlo nella mia vita, ma si sa com’è, per telefono, e poi si sa, noi stronze, di mille modi ne trovassimo mai uno.